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Il castello fu dimora di Giulia Farnese, detta “Giulia la Bella” – sorella di Paolo III. Nei primi anni del Cinquecento Giulia si trasfrì a Carbognano e vi trascorse gli ultimi vent’anni della sua vita. Per suo volere l’antica rocca medievale fu ristrutturata e trasformata in residenza risnascimentale, che conteneva strutture molto moderne per l’epoca, come un bagno che disponeva acqua corrente, anche riscaldata. Giulia stessa scelse dell’intero ciclo di affreschi che può ancora essere ammirato nelle stanze.
CARBOGNANO, CASTELLO DI GIULIA FARNESE
LA STRUTTURA ARCHITETTONICA
L’edificio appare come un mastio di forma quadrangolare, posto in un possente quadrilatero irregolare dove tutti i lati, mastio compreso, presentano un filare di beccatelli che sostengono una zona di passaggio coperto avente merli e feritoie; la presenza di merli dritti denota l’appartenenza del castello alla parte guelfa in quanto la dinastia Farnese fu sempre fedele alla corte papale.
Nel corso dei secoli, il castello di Carbognano ha subito degli interventi, comunque ancora oggi mantiene evidenti le caratteristiche della struttura originaria: un’architettura che ripropone gli elementi tipici degli edifici quattrocenteschi, ma con l’inserimento di cornici per porte e finestre ispirate allo stile classico, molto in voga durante il Rinascimento.
Forse il progetto architettonico del castello rifletteva il gusto della stessa committente che, in tempi precedenti, accanto a suo marito Orsino, aveva voluto la realizzazione del secondo piano del castello di Bastianello con elementi architettonici che vennero ripresi poi per la residenza di Carbognano. Si tratta in entrambi i casi di abitazioni possenti, ideate come residenze private, ma edificate con strutture che si avvicinano all’architettura militare molto in voga negli ultimi decenni del secolo XV, non tanto per questioni puramente estetiche, quanto per esigenze scaturite da vicende storiche avvenute in Italia in questo periodo, quali la presenza di eserciti stranieri ben organizzati come quello capeggiato da Carlo VIII nel 1494.
Dalla piazza sottostante il castello, questo appare con una facciata di rappresentanza avente due ordini di finestre disposte in modo irregolare, di cui le tre superiori presentano la medesima struttura: forma rettangolare con cornice in peperino, avente sull’architrave il nome della committente inciso con lettere epigrafiche romane: IULIA FARNESIA o IULIA DE FARNESIO.
Il lato è collegato alla chiesa settecentesca attraverso una struttura architettonica avente nell’ordine inferiore una volta a botte, sotto la quale è la via di passaggio che collega il palazzo alla parte più bassa del paese. Superato l’arco, si ha visione del lato nord-est caratterizzato all’estremità da due torri di diversa base ed altezza che sporgono nella struttura architettonica: quella nord, di pianta circolare, e quella ad est quadrata sono disposte in modo tale da costituire quasi elementi di chiusura del lato stesso. La torre di forma circolare a nord si presenta esternamente con una struttura disposta su due piani distinti da un toro a modanatura semplice: la parte superiore ha due finestre a cornice quadrata, mentre nella zona inferiore è l’arco già citato. Anche lungo questa cortina muraria, si aprono delle finestre disposte su due piani, la centrale dell’ordine superiore presenta un doppio modulo in quanto funge da apertura del grande salone di rappresentanza. Nella zona sottostante, era previsto un piccolo giardino di cui oggi non resta quasi nulla.
Il lato sud-est si sviluppa lungo la strada interna del quartiere; presenta anch’esso un doppio ordine di aperture, risalenti probabilmente ad epoche diverse vista la loro struttura non uniforme. Le due finestre poste vicino alla torretta quadrata ripetono il modulo di quelle volute da Giulia, accompagnate anche dallo scudo marmoreo con i sei gigli, circondato da una corona di frutti e fiori.
Nel lato finale è l’ingresso del palazzo; l’accesso è possibile anche attraverso la rampa che dalla piazza sottostante porta direttamente alla zona superiore dove la struttura muraria identica a quella del palazzo collega quest’ultimo all’attuale Municipio e permette di entrare nella piazzetta antistante attraverso l’arcata. Lungo questo lato è edificato il portone ad arco, incorniciato da una struttura in peperino a bugnato, sul quale campeggia lo stemma della famiglia Farnese, ugualmente in peperino. Superato questo, si giunge all’interno di un angusto cortile, estremamente decentrato rispetto all’intera struttura; davanti al portone d’ingresso un’altra volta incorniciata in travertino immette in un atrio coperto avente sul lato destro una scala che permette di raggiungere il piano nobile. Saliti i gradini, si giunge in un’anticamera con tre porte: quella opposta all’ingresso risulta decentrata rispetto alla parete ed attualmente impiegata per accedere all’interno del piano nobile. E’ probabile che originariamente venisse impiegata come porta d’ingresso alle sale quell’aperta lungo il lato destro in quanto risulta maggiormente rifinita: la sua cornice presenta una ricca modanatura avente i gigli, emblema di famiglia e la scritta IULIA FARNESIA.
La struttura interna del palazzo e la disposizione degli ambienti ripropongono lo schema tipico di quelle abitazioni costituite da un corpo centrale, solitamente destinato a sala di rappresentanza, avente porte a doppio battente che introducono all’interno delle varie stanze.
LA DECORAZIONE PITTORICA
La costante ripetizione del giglio, segno araldico dei Farnese, e degli scudi di famiglia disposti nel punto centrale di ciascuna stanza consentono di attribuire anche la committenza delle opere pittoriche a Giulia Farnese. La decorazione non è presente in tutti gli ambienti del palazzo, ma quattro risultano le zone affrescate: la stanza dei cacciatori, il salone di rappresentanza, la stanza dell’unicorno ed il bagno o “stufa“.
LA SALA DEI CACCIATORI
La sala dei cacciatori è il primo ambiente che si incontra superata la parte esterna arricchita della cornice in travertino; è probabile, data la sua collocazione, che originariamente essa venisse impiegata come camera d’attesa e quindi avente funzioni di rappresentanza.
L’ambiente presenta una copertura con volta a schifo lunettata e capitelli pensili in peperino dove gli esecutori impiegarono naturali partiture architettoniche per inserire diversi motivi ornamentali.
La decorazione della volta consiste in due tondi, contornati da gigli farnesiani, eventi internamente le raffigurazioni di animali di cui uno risulta essere di difficile comprensione, mentre l’altro è un unicorno, l’animale più ricorrente all’interno dell’intero ciclo pittorico. Le dodici lunette, disposte due lungo i lati brevi e quattro in quelli lunghi, vennero invece utilizzate per inserire quei motivi coreografici conosciuti come “grottesche” che sono al momento in un cattivo stato di conservazione. L’elemento che caratterizza tale stanza è sicuramente il repertorio iconografico del fascione che corre sotto le lunette: si tratta di una serie continua di iconografie raffiguranti scene di caccia realizzate a monocromo. Nonostante la scomparsa delle diverse immagini, è ancora possibile constatare delle vere proprie battute di caccia che si svolgono all’interno di un bosco, accennato semplicemente da esili alberi.
IL SALONE DI RAPPRESENTANZA
Il salone di rappresentanza, 11 m per 6,5, venne realizzato secondo le disposizioni frequenti all’epoca che sono riscontrabili anche nel trattato di architettura scritto da Francesco di Giorgio Martini nella seconda metà del XV secolo. Egli teorizzò che la lunghezza del salone dovesse essere due volte la sua la larghezza; infatti indicò: “I saloni ovvero i teclini devono essere lunghi due quadrati“.
L’ambiente conserva la medesima struttura architettonica della stanza di cacciatori, ma sedici risultano le lunette che compongono la volta: tre lungo i lati brevi e cinque in quelli lunghi.
L’impostazione generale della decorazione si fonda su un sistema a “grottesca“ che riempie spicchi e lunette su fondo chiaro e vele su fondo rosso: una figura funge da elemento centrale all’interno della scena, mentre i motivi ornamentali, desunti dal mondo animale o vegetale, sono raffigurati lateralmente. I motivi più ricorrenti all’interno delle lunette sono la candelabra e numerosi uccelli trampolieri raffigurati nell’atto di nutrirsi dei frutti delle cornucopie o nell’atto di rivaleggiare con serpenti e forze mostruose. La figura più visibile rimane sicuramente quella dell’unicorno, animale emblematico della famiglia Farnese.
Uno degli intenti della committente era sicuramente quello di celebrare la grandezza della propria stirpe; infatti la decorazione presenta i blasoni dei diversi membri che rappresentano le famiglie a lei legate.
Al centro del soffitto campeggia lo scudo contornato da una ghirlanda di frutti fiori; si tratta dello stemma della stessa committente in quanto composto da sei gigli blu su campo giallo-oro. Accanto al blasone farnesiano sono disposti altri due scudi composti ed inquadrati al fine di rendere omaggio ai propri genitori: Pierluigi Farnese e Giovannella Caetani. Altri blasoni dalle differenti fogge vennero raffigurati all’interno di quattro lunette; la loro immagine compare in posizione centrale, contornata da una serie di soggetti desunti dal mondo animale. Al centro della parete sud-est è posto lo stemma del cardinal Farnese, suo fratello. Nella lunetta sopra la finestra a doppio modulo si nota lo stemma voluto per ricordare l’unione matrimoniale tra sua figlia Laura Orsini e Nicolo della Rovere.
La strombatura sovrastante il finestrone è decorato con uno degli elementi tipici dell’araldica farnesiana: un unicorno che appoggia le zampe anteriori su una fontana avente vasca rettangolare e nicchia dove evidente è lo stemma della Farnese contornato da una ghirlanda. La fontana in questione ricorda molto quella antistante la Chiesa di Santa Maria della Concezione.
LA STANZA DELL’UNICORNO
La stanza dell’unicorno, così definita per la ripetizione di tale motivo iconografico, è accessibile attraverso due aperture: una posta nella sala dei cacciatori e l’altra nel salone rappresentanza. La struttura dell’insieme risulta essere identica a quelle già incontrate nelle sale precedenti: la volta venne riservata alla raffigurazione della scena principale, mentre nelle varie lunette (due nei lati brevi e quattro in quelli lunghi) vennero inserite diverse sequenze narrative alternate a stemmi di famiglia.
La stanza può essere considerata l’ambiente più importante e interessante dell’intera decorazione per la presenza di figure dal valore emblematico che rimandano a temi cristiani. Le scene si compongono di diversi soggetti desunti dal mondo animale in cui predominante è sicuramente la consueta immagine dell’unicorno e la vergine, affiancata ad una serie di esseri naturali dai multipli significati simbolici. Questa pratica era diffusa già in epoca medievale e lo sarà ancor di più nel Cinquecento con la diffusione dell’opera di Orapollo, Hieroglyphica, pubblicata nel 1505. I geroglifici, linguaggio degli antichi egizi, venivano interpretati quasi fossero una sorta di ideografia in cui mediante delle figure venivano espressi dei concetti.
L’immagine dell’unicorno associato alla vergine, che è il motivo iconografico più ricorrente nella stanza, venne impiegato innanzitutto come figurazione delle virtù di Castità e Purezza, concetto espresso anche dalla presenza del fuoco mantenuto acceso da fanciulle vestite alla moda degli antichi a ricordare le sacerdotesse del tempio di Vesta; esse erano votate alla più rigorosa castità e, se infrangevano tale voto, potevano anche essere sepolte vive. Altro motivo visibile è quello della Fenice, mitico uccello di origine egizia impiegato in epoca medievale come simbolo di Cristo. Nelle lunette in cui l’animale compare, le fanciulle sono sedute nell’atto di calpestare una tartaruga, immagine venne più volte impiegata in arte come simbolo del male in quanto il suo nome deriva etimologicamente da Tartaro, Inferno.
Nei lati brevi della stanza compare una coppia di unicorni, privi della fanciulla, posti ai lati di un albero le cui radici hanno origine dalla testa di un mascherone. Nella cultura cristiana, l’albero allude alla funzione di perno centrale del mondo, con puntuale riferimento al ruolo svolto da Cristo, mentre gli unicorni fungono da guardiani. Agli stessi temi è associata l’immagine della cornucopia che compare negli stessi lati. Il corno dell’abbondanza è traboccante di prodotti naturali, quali: spighe di grano, uva bianca e nera, melograni, ciliegie che nell’iconografia cristiana sono adottati come simboli di Pace.
Nella volta, due ghirlande definiscono il perimetro entro cui sono visibili due animali, un unicorno ed un levriero, inseriti contro un paesaggio non ben definito. Nell’iconografia pagana, l’unicorno veniva frequentemente raffigurato nell’istante in cui riuscivano a catturarlo con l’aiuto dei propri cani; in epoca medievale, il cacciatore divenne la figurazione dell’Arcangelo Gabriele, l’angelo dell’Annunciazione, mentre i cani impersonarono la Misericordia, la Giustizia, la Pace e la Verità, cioè le virtù che seguirono la venuta del Salvatore.
L’intento celebrativo è evidente anche in questo ambiente dove compaiono vari stemmi di famiglia: lo scudo della stessa Giulia posto al centro del soffitto, mentre le lunette ospitano i segni araldici Della Rovere-Orsini, Farnese- Caetani e lo scudo cardinalizio del fratello Alessandro Farnese. Non si conoscono i nomi degli artisti che operarono nella stanza, ma è probabile che la realizzazione dell’opera non fosse stata affidata ad un solo autore, poiché ad un’attenta analisi stilistica è possibile constatare che per lo meno tre diversi furono gli artisti impegnati nella decorazione: in generale si trattò di esecutori operanti in ambito locale, i nomi dei quali rimangono ad oggi ancora ignoti.
LA STUFA
Uno degli aspetti più interessanti del piano nobile è quello esistente all’interno del torrione del lato nord: si tratta di un vano a base circolare di dimensioni ridotte (circa metri 2,5 di diametro), avente copertura a cupola con una piccola finestra aperta in direzione diametralmente opposta alla porta d’ingresso.
Nessun documento attesta quale utilizzo se ne facesse all’origine, ma la struttura architettonica della stanza fa supporre che fosse adibito a bagno, anche se al momento non sono più visibili gli accessori impiegati per il rifornimento idrico poiché la stanza ha subito diversi interventi nel corso dei secoli che ne hanno modificato l’aspetto originario.
La struttura presenta pareti spoglie ad eccezione della zona superiore del muro perimetrale ornato con un fregio decorativo in cui è ricorrente l’immagine della fanciulla vergine nell’atto di offrire all’unicorno un recipiente di chiara derivazione classica. Accanto a questo motivo iconografico, compare più volte quella della fenice nell’atto di ardere sul fuoco ed una serie di immagini tratte dal mondo animale.
N. B.
Attualmente il castello non è visitabile. Il 2 agosto 2021 il crollo del tetto del Castello creava le condizioni di non agibilità per cui la Soprintendenza ancora oggi non permette l’accesso. Attraverso le pubblicazioni on line si apprende che a subire danni sono state proprio alcune stanze con gli affreschi fatti realizzare da Giulia Farnese, in particolar modo quella della sala dell’Unicorno, caratterizzata dalle decorazioni parietali con lo stesso soggetto riproposto più volte (https://www.ilmessaggero.it/viterbo/crollati_tetto_affreschi_al_castello_farnese_agonia_indifferenza-6175780.html)
Aspettando la fine degli interventi di restauro avviati sotto l’egida della Soprintendenza, auspichiamo nella quanto più veloce riapertura al pubblico.
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